Cristiada, un grande film da vedere

SCHEDA DEL FILM

Messico, anni 20 del secolo scorso. Dopo una lunga stagione di rivolgimenti politici, la
nazione è caduta nell’orbita dell’inesorabile egemonia degli Stati Uniti. Washington,
nascondendosi dietro slogan di libertà e progresso, subordina all’ubbidienza e al rispetto dei
propri interessi economici l’ascesa dei leader politici messicani. […]
Nel 1924 alla guida del Messico c’è Plutarco Elias Calles, che appena eletto (vota il 2%
della popolazione) dà luce ad un clamoroso progetto politico: sradicare la religione cattolica dal
popolo. Estirparla usando come diserbante le durissime leggi penali che porteranno il suo nome,
le Leggi Calles. Un attacco alla libertà religiosa che sarà condotto con la violenza più brutale:
chiese incendiate, sacerdoti uccisi o deportati, impiegati pubblici costretti a rinnegare la fede,
pena perdita posto di lavoro, chiusura di tremila scuole cattoliche e confisca di tutto il patrimonio
del clero.
Per rispondere alla persecuzione, i messicani organizzano inizialmente una resistenza
pacifica: vengono raccolte due milioni di firme per abolire la riforma Calles, il quale però
dichiara che quelle firme “inesistenti” in quanto non provengono da cittadini, poiché “chi si pone
contro la legge dello Stato non è degno di essere considerato cittadino”. Comincia allora l’eroica
resistenza armata dei Cristeros, che diventerà presto una guerra civile tra l’esercito del governo e
il popolo messicano.
È questo il contesto storico al centro del film Cristiada, for Greater Glory.
Dopo il debutto nelle sale messicane avvenuto lo scorso aprile, il film, a giugno, è stato
accolto tiepidamente negli Stati Uniti . […] nonostante un cast d’eccezione e l’interessante regia
di Dean Wright, all’esordio dietro la macchina da cinepresa dopo essersi imposto per oltre
vent’anni come maestro degli effetti speciali di diversi colossal (vedi Titanic, la trilogia del
Signore degli anelli e Le cronache di Narnia).
Tra gli attori (bravissimi), spiccano un Peter O’Toole in grande spolvero e un Andy
Garcia autore di un’interpretazione memorabile, nella parte del carismatico generale Gorostieta,
veterano che allo scoppio della guerra civile decise di accettare l’incarico di leader militare e
strategico dei Cristeros.
Un film che narra la semisconosciuta vicenda di un popolo di eroi, di santi; di uomini che
non combatterono per il denaro, per la terra o per il potere, ma lottarono per la libertà di accedere
ai sacramenti, di educare i propri figli e per l’integrità della loro fede; contro un governo
massonico, imposto dagli Stati Uniti, che li disprezzava e li umiliava nel nome del più
disumanizzante dei progetti politici.
Una battaglia, la Cristiada, taciuta inspiegabilmente dalla storiografia prevalente e
assente dai libri di scuola (così come è ancora assente il film dalle sale italiane,
purtroppo), presentata coraggiosamente da questa notevole pellicola messicana che porta il suo
nome.
Un film da vedere, che servendosi semplicemente dei fatti e dei veri protagonisti della
storia, è in grado di far riflettere su temi scottanti e attualissimi: la libertà religiosa in primis, e
sul vero significato di quella laicità dello Stato sulla quale si fa ancora tanta confusione (come
riaffermato recentemente dall’arcivescovo di Milano, Angelo Scola). Infine, i Cristeros ci
ricordano come il pacifismo non possa scadere in un’acritica resa ai prepotenti, e che questi,
quando necessario, vanno combattuti come fecero questi martiri messicani al grido di Viva
Cristo Re!

I MARTIRI CRISTEROS
I santi e beati proclamati da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
Nel corso del Novecento, dolorosamente percorso da immani tragedie conseguenza soprattutto del
clima ideologico segnato dall’odio anticristiano, si è verificato anche un episodio ancor oggi poco
conosciuto di martirio. Si trattò di una tremenda persecuzione, che si trascinò poi ancora per
moltissimo tempo dopo il triennio cruento (1926-1929), lasciando effetti duraturi sulla struttura
politica e sociale del Messico, determinando in maniera irreversibile il
destino forse anche dell’intero sub-continente latino-americano. Fu un
conflitto scatenato contro una società contadina, tradizionale, cattolica,
un’aggressione perpetrata da uno Stato autoritario uscito da un processo
rivoluzionario. Sarà papa Giovanni Paolo II (1978-2005) ad elevare agli
onori degli altari alcuni martiri della persecuzione messicana: sacerdoti e
laici, militanti delle organizzazioni cattoliche, tra cui san Manuel
Morales, presidente della Lega Nazionale per la difesa della libertà
religiosa. Uomini e donne che testimoniarono con coraggio la loro fede
contro un governo che nella propria Costituzione affermava, tra l’altro,
che «L’esistenza di qualsiasi ordine e congregazione religiosa resta
proibito» (art. 5); «ogni culto è proibito fuori delle chiese, e nelle chiese il
culto sarà sempre sottomesso all’ispezione dell’autorità civile» (art. 24);
«le chiese sono proprietà dello Stato. Tutte le associazioni religiose sono
incapaci di acquistare, possedere o amministrare beni immobili».
L’epopea della Cristiada annovera come suoi protomartiri Joaquim Silva e Manuel
Melgarejo, il primo di 27 anni, il secondo di soli 17, entrambi militanti della Gioventù cattolica.
Dopo il provvedimento della sospensione del culto pubblico voluto dai vescovi messicani per
protestare contro le misure del governo, Silva aveva cominciato, insieme all’amico, a percorrere il
paese e a tenere conferenze nelle quali, grazie ad una solida cultura, una fede appassionata e una
concezione della vita come milizia, sapeva accendere gli animi dell’uditorio e spronarlo alla lotta.
Domenica 12 settembre 1925, mentre si dirigevano in treno a Zamora per tenervi uno di questi
incontri, vennero arrestati e condannati a morte senza nemmeno un processo. Inutilmente Silva
chiese che almeno l’amico minorenne fosse risparmiato. Entrambi furono condotti al muro, dove i
soldati non riuscirono a strappare dalle loro mani le corone del Rosario. Di fronte al plotone
d’esecuzione Joaquim Silva tenne un discorso talmente toccante per sentimenti religiosi e patriottici,
che gli stessi soldati ne furono commossi. Uno di essi si rifiutò di prender parte all’esecuzione, così
che venne a sua volta arrestato e passato per le armi il giorno seguente. Joaquim disse con fermezza
al comandante: «Non siamo dei criminali, né abbiamo paura della morte. lo stesso vi darò il segnale
di sparare, quando griderò viva Cristo Re, viva la Vergine di Guadalupe». Così avvenne: al grido di
battaglia e di vittoria lanciato dai due giovani partì la scarica di fucileria che li abbatté. I corpi dei
due eroi furono esposti più tardi nel cimitero: stringevano ancora tra le mani i rosari, e furono
rivestiti di bianche vesti, dopo che i loro abiti insanguinati erano stati divisi in frammenti, come
reliquie, tra i fedeli del paese.
Tra i martiri si pot
erono annoverare anche amministratori pubblici, come Luis Navarro
Origel, il sindaco terziario francescano della città di Peniamo, fondatore nella sua regione
dell’Ordine dei Cavalieri di Colombo, di società di mutuo soccorso, casse rurali, sezioni della
Gioventù Cattolica, circoli culturali, scuole di catechismo, propagatore instancabile dell’adorazione
eucaristica notturna. Dopo quattro anni di amministrazione corretta e vantaggiosa per la popolazione,
venne destituito di forza dal governo, prima di essere assassinato.
Un’altra figura commovente della persecuzione fu Tomàs de la Mora, di Colima, un ragazzo
di soli sedici anni, uno dei più attivi membri del locale Circolo Cattolico, che svolgeva l’attività di
catechista tra i bambini più poveri. Il 15 agosto 1927 fu arrestato per il semplice motivo che portava
uno scapolare, ossia un pezzo di stoffa con una immagine sacra, simbolo di una confraternita
religiosa. Il comandante della caserma gli domandò se avesse rapporti con “i fanatici”, ovvero preti,
frati, cattolici e briganti. «Non fanatici – rispose il ragazzo – ma liberatori della Chiesa e della Patria2
dai tiranni». Tomàs fu allora frustato, affinché fornisse informazioni sui ribelli, ma fu tutto inutile. Il
comandante ordinò allora che venisse impiccato all’Albero della libertà che era stato eretto, cupo
retaggio della Rivoluzione Francese, nella piazza principale della città.
Un esempio di eroismo femminile è quello di Eleonora Garduno, arrestata per complicità coi
ribelli. Interrogata dal generale Ortiz, uno dei principali collaboratori di Calles, che aveva per motto
“Il mio dio è il diavolo”, la cui figura portava tatuata sul petto, ricevette dal militare l’offerta della
scarcerazione, in cambio di una docile collaborazione. La ragazza rispose: «Lei mi chiede una cosa
impossibile: io continuerò a lavorare finché questo governo cadrà». Anche lei finì davanti al plotone
d’esecuzione.
Quando portarono alla moglie dell’avvocato Gonzales, una delle guide dell’insurrezione, il
cadavere straziato del marito, la donna chiamò vicino i figli e disse: «Guardatelo, è vostro padre. È
un martire della Fede. Promettetegli che anche voi sarete degni figli e continuerete un giorno la sua
opera».
Accanto a questi uomini, donne e ragazzi, occorre ricordare il tanto sangue sacerdotale
versato. Furono centinaia i sacerdoti uccisi: poveri parroci di villaggio, giovani strappati dal
seminario (con l’intenzione di “liberarli”!) monaci uccisi nei loro conventi. Fra di essi il più celebre è
senz’altro il beato padre Miguel Augustin Pro, gesuita, di Guadalupe, assassinato a soli trentasette
anni nel 1927, riconosciuto come martire dalla Chiesa il 25 settembre 1988. Ma non solo lui.
Il beato padre Elia Nieves, agostiniano: nonostante il divieto, continuò a esercitare il suo
ministero, recandosi ovunque era necessario confortare, aiutare, amministrare i sacramenti. La
polizia, venuta a conoscenza dei fatti, lo fece pedinare e arrestare mentre, in una soffitta, celebrava la
Messa. Condannato a morte, venne condotto sul luogo dell’esecuzione. Dopo essersi inginocchiato a
pregare, si rivolse ai soldati del plotone di esecuzione: «In ginocchio, figli miei. Prima di morire
voglio darvi la mia benedizione». I soldati obbedirono e si
inchinarono riverenti al gesto del sacerdote. Mentre padre Nieves
tracciava il segno di croce, l’ufficiale che comandava il picchetto,
infuriato, gli sparò al petto, uccidendolo mentre ancora benediva.
A volte gli aguzzini si divertivano a infierire sui sacerdoti
senza ucciderli; venivano loro tagliate le braccia per impedire che
in futuro potessero celebrare la Messa. Don Pablo Garcia subì una
sorte atroce: parroco zelante, anch’egli sfidava le leggi e ogni pericolo. Volle celebrare con grande
solennità la festa nazionale di Nostra Signora di Guadalupe e il 12 dicembre raccolse il suo popolo in
un luogo solitario sulla montagna di S. Juan de los Lagos. Scoperto, arrestato, venne orribilmente
torturato per giorni. «La morte, ma mai tradire» ripeteva il sacerdote, finché fu finito a colpi di
pistola.
San David Uribe, annoverato nel gruppo di martiri canonizzati da papa Giovanni Paolo II, fu
strappato al suo gregge, dopo essere stato rinchiuso in un campo di concentramento. Riuscì tuttavia
ad evadere e tornò alla sua parrocchia di Iguala, continuando ad esercitare, in forma clandestina, il
suo ministero. Finì per essere nuovamente arrestato. Il generale governativo Castrejon propose ai
parrocchiani di riscattare il sacerdote consegnando tremila pesos. Furono raccolti immediatamente, a
costo anche di enormi sacrifici, ma il parroco non fu rilasciato: si pretendeva da lui un pubblico atto
di apostasia e di adesione alla scismatica chiesa patriottica. Pabre Uribe rifiutò decisamente e fu
allora sottoposto a lunghe torture, tra le quali il supplizio della graticola. La Domenica delle Palme
del 1927 spirò dopo i terribili tormenti subiti. Le sue ultime parole furono: «la morte piuttosto che
rinnegare il Vicario di Cristo, lo amo il Papa! Viva il Papa!». Il suo corpo, gettato per strada, venne
raccolto e gli fu data sepoltura con grandi onori.